NOTA METODOLOGICA SUGLI INDICI DEI PREZZI AL CONSUMO

 

 

Gli indici dei

prezzi al consumo

Gli indici Istat dei prezzi al consumo misurano le variazioni nel tempo (cioè rispetto ad una certa data assunta come base di riferimento[1]) dei prezzi di un campione di beni e servizi, chiamato paniere, acquistabili sul mercato e destinati al consumo finale delle famiglie.

 

Tali indici riguardano prezzi effettivi (escludono cioè ogni valore virtuale) di beni e servizi acquistabili sul mercato (escludono quindi tasse, contributi e imposte, beni e servizi acquistati all’estero, autoconsumi, affitti figurativi, beni di investimento, ecc.) destinati al consumo (non considerano, di conseguenza, i beni di investimento) delle famiglie (perciò non si riferiscono ai consumi delle imprese e della pubblica amministrazione) riferiti a transazioni monetarie (escluse quindi le cessioni a titolo gratuito, gli autoconsumi, ecc.)[2].

 

Attualmente il paniere comprende prodotti selezionati tra quelli che una pluralità di fonti statistiche indicano tra i più consumati. Per il calcolo degli indici questi prodotti sono aggregati in categorie più ampie in base ad una classificazione a cinque livelli.

 

Il diagramma 9.1 (diag. 9.1) sintetizza l’articolazione gerarchica della classificazione dei prezzi, mentre il diagramma 9.2 riporta la composizione del paniere.

 

Scorrendo l’elenco dei prodotti che compongono il paniere si intuisce facilmente come nella realtà il peso dei diversi acquisti sul bilancio familiare possa variare anche in misura sensibile. Per tenere conto di questa variabilità ad ogni bene o servizio del paniere è attribuito un peso che sintetizza l’importanza che esso riveste rispetto ai consumi totali. Si tratta in sostanza di un moltiplicatore che misura, fatta pari a 100 la spesa totale, la quota di spesa generata da quello specifico consumo.

 

Un ulteriore elemento di variabilità da considerare è legato alla condizione socioeconomica della famiglia: la struttura degli acquisti, infatti, varia anche in relazione al reddito familiare.

 

Per tenere conto di quest’ultimo aspetto, oltre all’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale (NIC[3]), che è riferito a tutte le famiglie residenti, l’Istat elabora l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati (FOI[4]), la cui struttura di ponderazione è calcolata in riferimento ai consumi medi del sottoinsieme delle famiglie italiane la cui persona di riferimento è un operaio o un impiegato[5].

 

 

 

 

La rilevazione dei

prezzi

Tutti gli indici dei prezzi al consumo descritti sopra scaturiscono da un’unica rilevazione dei dati, svolta secondo metodi e norme stabiliti dall’Istat, alla quale concorrono gli Uffici di Statistica di 85 comuni, 66 capoluoghi di provincia e 19 capoluoghi di regione[6].

 

La rilevazione dei prezzi[7] per il calcolo degli indici avviene su base mensile, ma con frequenza variabile secondo la tipologia di bene o di servizio. Per ciascun prodotto in ogni città vengono rilevate una o più quotazioni di prezzo in diverse tipologie di punti vendita (supermercati, ipermercati, hard-discount, grandi magazzini, negozi tradizionali specializzati e distribuzione commerciale su aree pubbliche).

 

A livello nazionale le quotazioni rilevate mensilmente sono circa 400.000, a Macerata sono circa 4.200.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Gli indici analizzati di seguito sono tutti in base 2006=100, vale a dire che il valore assunto dall’indice nel 2006 è la base di confronto per la misura delle variazioni.

 

[2] Per approfondimenti metodologici sul sistema degli indici dei prezzi al consumo è possibile consultare il dossier A proposito di prezzi pubblicato sul sito dell’Istat (www.istat.it/prezzi/precon/aproposito).

 

[3] L’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic) assume il ruolo di indice centrale e rappresenta lo strumento per la misura dell’inflazione in Italia.

 

[4] L’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi) è la misura utilizzata come riferimento per adeguare periodicamente i valori monetari, ad esempio gli affitti o gli assegni dovuti al coniuge separato.

 

[5] Il concetto di consumi medi può essere meglio chiarito con un esempio. Si pensi ad una famiglia che vive in una abitazione in affitto. La spesa per l’affitto rappresenterà sicuramente una delle voci più importanti del bilancio familiare. Nella struttura di ponderazione dell’indice FOI, invece, gli affitti pesano per il 3,1%, perché la loro incidenza è calcolata sulla spesa totale delle famiglie di riferimento: nel 2002 le famiglie italiane che vivevano in affitto erano solo il 20% del totale. Dati non aggiornati

 

[6] Ciascuna regione concorre a determinare l’indice nazionale secondo un peso diverso: quello assegnato alle Marche per il 2004 è pari al 2,7%.

 

[7] Il prezzo rilevato per il calcolo dell’indice FOI è quello pieno di vendita, con esclusione di saldi e promozioni e/o di concorsi all’acquisto (come nel caso della quota a carico del SSN per l’acquisto dei farmaci). Alcuni prezzi sono rilevati a livello centrale direttamente dall’Istat.